mercoledì 12 febbraio 2020

SENTIERI NEL GHIACCIO


















da WERNER HERZOG


Sentieri nel ghiaccio


sabato 23 novembre 1974



«Quando io cammino, cammina un bisonte. Quando mi fermo, si riposa una montagna. (…) fuori dal freddo le prime mucche; mi commuove. Intorno al letame, che fuma, una gettata di cemento e due bambine che vanno sugli schettini. Un gatto nero nero. Due italiani che spingono insieme una ruota.
Questo odore acuto dei campi! Corvi che volano verso oriente e dietro di loro il sole ormai basso. Campi grevi e umidi, boschi, diversa gente a piedi. A un cane lupo si vede il fiato davanti la bocca. Per Alling cinque chilometri. Per la prima volta paura delle automobili. Su quel campo hanno bruciato giornali illustrati. Suoni, come di campane dai campanili. Nebbia che scende, una foschia. Mi blocco tra i campi. Giovani contadini in moto passano con strepito e si allontanano. (…) Un guanto intriso di pioggia nel campo, e nei solchi dei trattori è rimasta l’acqua fredda. Gli adolescenti sulla moto vanno all’unisono alla morte. Mi vengono in mente le rape non raccolte, ma per dio, giuro, qui intorno non ci sono rape non raccolte. (…) C’è un bosco nero e fermo. (…) Placide figure con cani lungo il bosco. (…) Il prugnolo mi balza davanti, intendo come parola: la parola prugnolo. E invece c’è un cerchione di bicicletta, ma senza gomma, e tutto dipinto a cuori rossi. (…) Mi passa accanto un albergo, albergo al bosco, grande come una caserma. E c’è un cane, un mostro, un vitello. (…) Un campo di mais, non raccolto, d’inverno, cinereo che crepita, eppure non c’è vento. C’è un campo e si chiama morte. (…) Arriva una bicicletta e a ogni giro completo il pedale urta contro il carter. I guard rail mi accompagnano e sopra di me corre l’elettricità. Questa collina però non è proprio invitante. Quasi sotto di me c’è un paese nella propria luce. (…) Fuori Alling un pantano, suppongo capanne di torba. In una siepe snido dei merli, una schiera spaventata, che vola via nell’oscurità. La curiosità mi conduce al posto giusto, una villa da fine settimana, giardino chiuso, ponticello sul laghetto; casa sigillata. Io seguo la via diretta … prima si fa saltare una persiana, poi s’infrange un vetro, ed eccoti dentro. (…) sul tavolo una tovaglia con un motivo moderno dei primi anni cinquanta. Sulla tovaglia delle parole incrociate, fatte per un decimo al massimo, con fatica, e gli scarabocchi sui margini rivelano che si era alla fine delle risorse. Si è risolto copricapo: cappello. Spumante: champagne. Parlare a distanza: telefono. Io risolvo il resto e lascio tutto sul tavolo come ricordo. (…) Dopo ancora per un poco mi occupa la mente una donna che andava per la strada del paese, nel buio notturno, con una brocca di latte in mano.»
W. Herzog, Sentieri nel ghiaccio, Guanda, Parma, 1980, pp. 11-16. (Wien, 1978)


mercoledì, 4.12 – pagine 43-44


Una mattina fresca, d’immacolata chiarezza. Tutto nella foschia in pianura, ma i suoni della vita giungono fin qui. Davanti ho i monti nitidissimi; vapori d’altitudine e una fredda luna diurna, per metà visibile, di fronte al sole. Fra il sole e la luna io passo in mezzo, non è esaltante? Vigneti, passeri, è tutto così fresco. La notte è stata abbastanza cattiva, niente più sonno dalle tre, in compenso la mattina gli stivali non mi facevano male più in nessun punto e le gambe erano a posto. Il fumo freddo di una fabbrica sale muto, verticale, verso il cielo. Sento dei corvi? Sì, e anche dei cani.
Mittelbergheim, Andlau. Tutt’intorno la pace perfetta, la foschia, il lavoro; ad Andlau c’è un mercatino settimanale. Una fontana di pietra, come non ne avevo mai viste in vita mia, è la mia sosta. La viticultura qui è tutto ed è anche la capacità di resistere di queste località. Nella chiesa di Andlau il parroco canta messa, stretto intorno a lui un coro di bambini, e a parte loro non c’è che qualche donna anziana. Fuori tutt’un fregio delle più grottesche sculture romaniche. Case di vacanza al margine del paese, sbarrate e sigillate per l’inverno. Ma fare irruzione non dovrebbe essere così difficile. C’è una fila di stagni per i pesci ormai in secco, allo stremo delle forze, invasa da erba e sterpaglia. Si sale lungo un torrente.
Una mattinata perfetta; in piena armonia con me stesso faccio di buon passo una salita. Il pensiero insistente dello sci acrobatico mi rende leggero, come se fluttuassi. Miele, alveari per ogni dove e su per tutta la valle case di vacanza chiuse e sbarrate. Avevo scelto la migliore e stavo riflettendo come penetrare e rimanere tutto il giorno, ma poi era più bello camminare e ho proseguito. Era la prima volta che non mi accorgevo che stavo camminando; sino al bosco su in cima sono stato immerso nei miei pensieri. Assoluta chiarità e freschezza dell’aria, più in alto un po’ di neve. I mandarini mi rendono euforico.
Incrocio. Di qui in avanti poca segnaletica. Radure di alberi tagliati e nei dintorni fumo azzurro dei fuochi di taglialegna. Sempre quella frescura, e come al mattino rugiada nelle erbe. Praticamente finora non una macchina, e solo metà delle case è abitata. Un canelupo nerissimo è rimasto a lungo a fissarmi coi suoi occhi gialli mentre mi allontanavo. Quando ho sentito frusciare dietro di me, perché dietro di me veniva del fogliame portato dall’aria, mi son detto questo è il cane, sebbene fosse alla catena. Per tutto il giorno la più completa solitudine. Un vento trasparente fa frusciare gli alberi in alto, la visuale è ampia. È una stagione questa che non ha più nulla di terreno. Grandi sauri volanti lasciano sopra di me, senza alcun suono, le loro scie di condensazione, proprio in direzione ovest; puntano su Parigi e i miei pensieri volano con loro. Tanti cani, dall’auto non si notano affatto, come nemmeno l’odore dei fuochi e i sospiri degli alberi…










pagina 38-39



lunedì 2 dicembre



Nessuno, non c’è un’anima, silenzio opprimente. E in mezzo a tutto, stranamente, brucia una fiamma da petrolio. S’agita, un fantasma di fuoco, nel vento. Giù nell’arancione della pianura vedo strisce di pioggia, e l’annuncio della fine del mondo brucia e arde in cielo. Una ferrovia fugge per la campagna e attraversa i monti. Le ruote scottano. Un vagone s’incendia. Il treno si ferma, si cerca di spegnere, ma il vagone non si vuol spegnere. Si decide di ripartire, svelti, svelti. Il treno si rimette in moto, va nel cosmo buio, sempre diritto. Nel nero totale dell’universo ardono le ruote e arde quel vagone. Inimmaginabili cadute di stelle hanno luogo, interi mondi crollano su se stessi, in un punto solo. La luce non può più fuggire, persino il nero più fondo qui dovrebbe fare l’effetto della luce e il silenzio un effetto di clamore. Il cosmo non è più riempito da niente, è il vuoto più nero che sbadiglia. Sistemi galattici si sono condensati in non-stelle. Una gran beatitudine si diffonde e dalla beatitudine si genera ora una cosa mostruosa. Questa la situazione. Una nube densa di mosche e moscerini mi turbina intorno alla testa, io do sventole tutt’intorno ma quelli mi seguono avidi di sangue ovunque. Come faccio ad andare a comprar qualcosa? Mi sbatteranno fuori del supermercato me e la mia nube d’insetti intorno alla testa. Un fulmine, molto più in basso di me, serpeggia nel cielo nero-arancio e va a colpire giusto il Franz del mulino. Questi aveva un solo amico ed era il Sepp Tempesta. Il Franz del mulino ha passato anni nel solaio della fattoria, imprigionato in un recinto di assi, perché la donna del Franz giù in casa aveva un affare col Sepp Tempesta. Lo chiusero dentro con le assi e lui mica si ribellò, perché gli portavano su la minestra da mangiare.
Fa bene la solitudine? Sì, fa bene. Solo che dà delle prospettive drammatiche. Intanto la nauseabonda proliferazione s’aggruma in riva al mare.









Da “Sentieri nel ghiaccio” – Werner Herzog (1978)

venerdì, 13 dicembre – p.69

Venne un giorno in cui mio nonno si rifiutò di alzarsi dalla sua poltrona, fuori davanti alla porta. Era sullo sfondo di una fattoria; fra due pali mezzi marci avevano teso una corda per la biancheria e c’erano attaccate delle mollette. Delle anatre sguazzavano in un piccolo avvallamento fangoso dove si era raccolta dell’acqua. Un po’ più in là un granaio e una casetta del genere di quelle che fanno per i pensionati delle ferrovie.

Sulla linea ferroviaria passava solo un treno al giorno. Mio nonno stava in una poltrona di cuoio, avvolto in una coperta fino al petto. Fu senza spiegazioni che decise di non alzarsi più dalla poltrona. Il tempo era bello e lo lasciarono fare; più tardi costruirono intorno a lui una specie di chiosco provvisorio, le cui pareti si possono togliere in modo rapido e semplice appena fuori fa caldo. Il tetto è di cartone catramato, tenuto coi chiodi.






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